Via d’Amelio, la strategia del potere

by aldocimmino

Nel ventennale delle stragi del ’92 la verità processuale non è ancora stata scritta. Quella storica è visibile a tutti

Il palazzo sventrato. Il fumo nero che sale dalle carcasse delle auto bruciate. Si sente “il puzzo del compromesso morale” che promana da quell’esplosione che mutilò i corpi di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano,  Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Alle 16.58 di quel tremendo 19 luglio 1992, per la seconda volta nella storia recente della mafia Palermo era ancora come Beirut.

Ma non solo nel 1992. Anche gli anni ’80, in piena seconda guerra di mafia, caddero tantissimi servitori dello Stato “che lo stato non è riuscito a proteggere” o forse non decise di proteggere. Dalla Chiesa, La Torre, Chinnici, Cassarà, Agostino, Montana e quanti, anche negli anni precedenti come Impastato e Fava, si frapposero ad una linea di sviluppo di una realtà di potere  che si è sempre celata dietro atti stragisti e che ancora oggi, magistrati, come il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, non esitano a porre domande inquietanti che ancora non trovano alcuna risposta.

Una regia unica? Dipende da quale punto di vista si osservano questi anni della cosiddetta prima Repubblica. Dal 1948 al 1994, anni tremendi che vedono il coniugarsi, in modo evolutivo, di una morfologia del potere che insidia terribilmente i meccanismi di una democrazia, mai pienamente attuata. O forse davvero mai attuata. Una corruzione sistemica che dall’Unità d’Italia ad oggi non si è mai arrestata, collezionando scandali finanziari ed economici che hanno inglobato la politica e il potere della rappresentanza politica in Italia.

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